In inglese il termine che indica il viaggio, travel, ha la stessa radice del francese travail “lavoro”, “travaglio”. Per gli antichi il viaggio era fatica, spesso imposta dagli dei. Poco a che vedere con la nostra idea di svago, di fuga, di ricerca di una dimensione diversa da quella della quotidianità. A un tempo lo spostarsi a tanti chilometri di distanza significava scoprire terre e culture sconosciute, significava rischiare. Oggi i nostri viaggi sono “addomesticati”. Andiamo in posti perché li conosciamo già, perché un agente di viaggio o un blogger ci ha già raccontato tutto dei luoghi, con un dettagliato programma su cosa vedere, cosa fare, dove mangiare e dove dormire.
Allora, cosa vuol dire saper viaggiare? Vuol dire saper trovare i prezzi più bassi e sapersi districare in aeroporto? Vuol dire visitare i luoghi in cima alle classifiche della Lonely Planet, per poi immortalarli sui social e dire “ci sono stato!”?
Per me viaggiare è uscire dai propri costumi abituali, diventando più attenti. I sensi si acuiscono e siamo più propensi a osservare ciò che vediamo. È il movimento a mutare la nostra capacità di percezione. Il viaggiare cambia anche il rapporto con gli altri, cadono molti pregiudizi legati alla stanzialità. Dà una scossa, fa vedere le situazioni sotto una diversa luce, e fa prendere distacco dalla quotidianità, mostrandoti il mondo così com’è, restituendo la reale dimensione dei problemi.
Viaggiare significa lasciare andare il vecchio per accogliere il nuovo, crescere nel giro di pochi giorni e vivere momenti unici che ci faranno sentire vivi. Ogni volta che si viaggia ci si sperimenta in nuove situazioni, si scoprono lati di sé fino a quel momento sconosciuti e si arricchisce il proprio patrimonio emotivo.
Nei miei viaggi in solitaria potevo ogni giorno essere una persona diversa.
“Al momento dell'imbarco, fate che chi sale abbia cura di non portare in viaggio se stesso”, diceva Seneca.
Oggi le formule di viaggio sono infinite, ma siamo noi a fare il viaggio, con la nostra testa e con il nostro cuore. Quel che è ormai certo è che se fare shopping rende felici e soddisfatti nel momento in cui lo facciamo, la gioia legata al viaggio resiste nel tempo.
La soddisfazione che deriva dagli oggetti materiali è reale, ma molto breve perché ci abituiamo subito alla loro presenza. Il viaggio invece rappresenta un’esperienza che ci gratifica sul lungo termine e che inizia dal momento in cui prenotiamo il volo, senza mai concludersi realmente.
I suoi effetti poi, rimangono indelebili dentro la nostra personalità. La nostra autostima aumenta, le relazioni si arricchiscono e diventano più semplici, le nostre paure si ridimensionano e ritroviamo la nostra energia.
Ecco perché si dice che viaggiare rende felici molto più dello shopping.
La condivisione del viaggio
Nell'era antica si veneravano gli dei, le divinità, la natura. Nell'era industriale si rincorreva il materialismo. Oggi con l'avvento dei social media, si condividono storie, foto e video, alla ricerca di 'like'. Il desiderio di esperienze ci sta portando nell'era dello storytelling, in cui non è tanto importante cosa possiedi, ma cosa puoi raccontare di aver vissuto o di aver incontrato. Si sta passando quindi dall'importanza del possedere all'importanza del fare, del vivere esperienze.
Questo lo trovo un bel passo avanti della nostra società e in particolare dei giovani. Non tanto per la dipendenza da smartphone, che a volte invece di godere dei momenti, pensiamo solo a fotografarli e postarli; quanto per la ricerca di cose belle da condividere con gli altri.
La sharing economy poi, ha scardinato il concetto di possesso materiale, vedi mezzi di trasporto o abitazioni, per semplificare e aumentare il concetto di condivisione. L'ormai sorpassato bisogno di possedere sta quindi lasciando il posto al bisogno di vivere momenti importanti; i così detti highlights.
Nel 2000 creo la mia società di comunicazione, diventando amministratore unico della 01srl. In pieno boom delle start up tecnologiche, mi invento la NomadCommunity, ovvero il primo popolo nomade dell’era interattiva. In realtà l’Uomo è sempre stato nomade, alla ricerca di caccia e pesca. Solo 20 mila anni fa, quando iniziarono le civilizzazioni stanziali, le città, l’uomo si fermò. Oggi, con le opportunità che internet ci permette, in molti potrebbero tornare a fare una vita nomade, avendo il proprio lavoro sul web.
Nello stesso anno in cui in Italia cominciava il Grande Fratello, io avevo creato la Car@van, ovvero un gruppo di persone in giro per il mondo, dirette dagli utenti del web. Attraverso delle schede di voto sul sito nomadcommunity.com, le persone decidevano dove farci andare e cosa farci fare. Azioni e eventi che andavano da l’umanitario allo sport, da l’ecologia all’arte e alla cultura. Il filo conduttore girava sempre intorno a belle azioni e a messaggi positivi.
Il progetto portava al suo interno diverse innovazioni: è stato il primo reality show di viaggi al mondo, la prima web community di viaggio in Italia, ed è stata precursore di quel che è oggi TripAdvisor. Ma a causa della crisi post 11 Settembre, National Geographic e il gruppo Vodafone (l'allora Omnitel) non eseguono l'opzione d'acquisto di quella che allora era una promettente start-up.